Carlo Maciachini nacque a Induno Olona, presso Varese, il 2 apr. 1818 da Agostino e da Rosa Cagnola.
Le condizioni economiche della famiglia lo costrinsero, ancora adolescente, a lavorare come falegname in alcune botteghe a Induno Olona e a Varese, dove dimostrò subito una spiccata capacità nell’intaglio. Trasferitosi a Milano nel 1838 lavorò nella bottega dell’ebanista Carlo Invernizzi, frequentando, contemporaneamente, corsi serali di ornamento e architettura presso l’Accademia di Brera.
In questo periodo ebbe modo di seguire il dibattito sul restauro architettonico e sulle teorie di Pietro Selvatico, sviluppando la passione per l’architettura.
Nel 1842 il M. sposò Maria Rosa Riva dalla quale ebbe un figlio, Augusto, che, divenuto valido ingegnere, lo sostenne lungo l’intenso percorso professionale. Durante il soggiorno milanese aprì un laboratorio a Terraggio, vicino a porta Vercellina, riuscendo, con la propria attività di ebanista, ad acquisire una certa notorietà nell’ambiente culturale cittadino.
Il M. si distinse in campo architettonico dal 1859 quando vinse il concorso per la costruzione della nuova chiesa serbo-ortodossa di S. Spiridione (detta anche degli Schiavoni) a Trieste. Il progetto, poi realizzato, prevedeva un edificio a croce greca in stile neobizantino sormontato da cinque cupole, secondo la tradizione orientale, arricchito da un personale uso di marmi colorati e mosaici dorati: già quest’opera rivela l’abilità del M. nel combinare differenti linguaggi architettonici, che rimarrà una costante della sua produzione.
Nel 1860, insieme con l’architetto Giovanni Brocca, redasse un progetto, con il quale prese parte al primo concorso per il completamento della facciata di S. Maria del Fiore a Firenze.
Il 17 novembre dello stesso anno fu bandito un concorso per il nuovo cimitero Monumentale di Milano; tra i ventotto progetti presentati nel 1863, fu scelto all’unanimità quello del M. che prevedeva, tra l’altro, l’utilizzazione delle strutture preesistenti. La costruzione iniziò nel gennaio del 1865 e all’anno successivo risale l’inaugurazione, anche se i lavori si protrassero ancora a lungo e il M. li seguì fino al 1887.
In principio egli tentò, come per S. Spiridione, di proporre modi e aspetti tipicamente orientali; ma durante l’esecuzione abbandonò tale intento preferendo schemi a pianta centrale in cui si fondevano elementi gotici e quattrocenteschi. Riflessioni stilistiche che sono chiaramente manifeste nel famedio. Posto al centro della struttura cimiteriale, questo tempio dei milanesi illustri presenta una pianta a croce greca con ampie rampe di accesso e domina, con il vasto fronte bicromo, i pinnacoli e i portici laterali, la piazza d’ingresso.
Tra il 1867 e il 1868 realizzò la propria abitazione milanese, andata distrutta durante la seconda guerra mondiale, ubicata tra le odierne via Turati e via dei Giardini. L’edificio era caratterizzato da elementi architettonici pseudomedievali e da richiami all’edilizia religiosa
In quegli stessi anni il M., oramai considerato esponente di spicco della cultura eclettica di fine secolo, per la fantasiosa capacità di rielaborare gli stili e di interpretarne correttamente gli elementi antichi, ricevette il titolo di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, conferitogli l’11 febbr. 1866, e la nomina a socio onorario della Reale Accademia di belle arti di Brera, il 31 marzo 1868.
A partire dall’ottavo decennio dell’Ottocento, il M. cominciò a occuparsi di restauri architettonici e, prevalentemente, del completamento delle facciate, con risultati a volte discutibili.
Spesso per la terminazione dei fronti delle fabbriche trasse spunto dalla composizione architettonica e decorativa dei fianchi dell’edificio o da pochi elementi superstiti; ma nella sostanza egli sostituì, sovente, parti rimosse o perdute con ardite interpretazioni personali. In ogni modo nel campo del restauro, costantemente preoccupato di perseguire una visione stilisticamente unitaria, egli si mostrò nella pratica più cauto di altri suoi colleghi.
Gli interventi più noti furono i restauri archeologici delle facciate di S. Simpliciano (1870) e di S. Marco (1872) a Milano. In queste circostanze, pur riservando particolare attenzione alle parti originarie superstiti, egli integrò con estesi completamenti le lacune, sebbene con significativi ripensamenti in corso d’opera. Un agire che mostra caratteri comuni alla prassi diffusa in Italia alla fine dell’Ottocento e che risente indubbiamente dell’influenza delle teorie francesi prevalenti in quel periodo. Il M. se ne avvalse anche nei restauri delle facciate del duomo e della collegiata di S. Lorenzo a Voghera (1874-75), sempre con l’intento di perseguire quell’unità formale desunta dai superstiti brani dell’apparato figurativo del monumento. La realizzazione del fronte di S. Maria del Carmine concluse, nel 1880, il ciclo dei restauri delle facciate milanesi.
Negli anni 1882-85 eseguì il progetto per la cupola del duomo di Pavia e, nel 1893, fu incaricato anche del progetto della nuova facciata, il cui rivestimento marmoreo fu realizzato solo parzialmente. Tale commissione costituisce l’atto conclusivo del lungo e proficuo lavoro svolto dal M. come architetto.
Il M. morì il 10 giugno 1899 a Varese nella sua casa neorinascimentale in via Aguggiari (non più esistente); le sue spoglie sono custodite nel cimitero Monumentale di Milano.
(tratto da di Carmelo Gulli – Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, Volume 67, 2006)