PROGETTARE I RESTAURI. IL RUOLO DEL RESTAURATORE DI BB.CC.
Organizzato da Confartigianato Nazionale Restauro, si è tenuto a Roma, il 23 ottobre 2024, nella Sala Spadolini presso il Ministero della Cultura, il Convegno Progettare i Restauri. Il Ruolo del Restauratore di Beni Culturali”.
Tema importante, quanto sinora poco discusso, che riguarda appunto la figura e il ruolo del Restauratore di BB.CC., così come definito dalla normativa vigente, nell’ambito del progetto di restauro.
- A sostegno della necessità di un approfondimento, si segnala che:
i Bandi di Opere Pubbliche di edifici soggetti a tutela, ma oramai anche le Committenze strutturate, richiedono la presenza nel Gruppo di Progetto e nell’Ufficio di Direzione Lavori della figura del Restauratore di BB.CC.; - l’attività di progetto e di supporto alla DL si sta configurando per il Restauratore iscritto agli elenchi ministeriali ex art. 182 e art. 29 D.lgs. 42/2004, per quanto di competenza, un ambito operativo di sicuro interesse che si aggiunge all’attività “core”, cioè l’attività di cantiere come operatore.
Questa situazione, introdotta dalla normativa, crea questioni non più eludibili inerenti alla delimitazione dei compiti e delle responsabilità del Restauratore, in particolare nei confronti degli Architetti, per quanto riguarda il tema del trattamento delle superfici storicizzate dell’architettura, cui questo contributo è in particolare riferito.
Infine, nell’ambito delle più generali motivazioni, pare da sottolineare che la domanda più frequente riguardi “il come si restaura, piuttosto che il perché, trascurando che non ha senso alcuna operazione tecnica indipendente da un fine, da un obiettivo scientifico, etico, culturale” (1) che dovrebbe accomunare gli intenti degli attori coinvolti.

Il progetto di restauro
“Il [progetto di] restauro è l’esecuzione di un progetto di architettura che si applica ad una preesistenza, compie su di essa tutte le operazioni tecniche idonee a conservarne la consistenza materiale, a ridurre tutti i fattori intriseci ed estrinseci di degrado, per consegnarla alla fruizione come strumento di soddisfazione dei bisogni, con le alterazioni strettamente indispensabili, utilizzando studio preventivo e progetto come strumenti d’incremento della conoscenza” (2).
Questo afferma Amedeo Bellini in un testo nel quale alcuni tra i più noti studiosi sull’argomento sono stati invitati a proporre una “definizione” di restauro.
Questa di Bellini, tra le diverse proposte, è quella che pare più condivisibile (a chi scrive) per varie ragioni e cioè:
- che il progetto di restauro è pur sempre di un progetto di architettura; cioè, non gode di statuti autonomi ma rientra, appunto, nell’ambito delle discipline dell’architettura;
- è diretto alla conservazione della consistenza materiale della fabbrica;
- deve garantire la fruizione e il soddisfacimento di bisogni;
- può prevedere anche alterazioni, se strettamente indispensabili e orientate ad un uso compatibile.
Quindi si tratta di operazione complessa che, come ben sanno coloro che vi si dedicano, prevede la convergenza di molti saperi come quelli dell’architettura, dell’ingegneria, e quelle specialistiche come restauro, antincendio, acustica, sicurezza, accessibilità, impianti ecc.
Certamente nell’ambito degli edifici storici uno dei temi fondamentali è la conservazione della materialità dell’architettura che deve essere perseguita per tramandare al futuro, con il massimo di identità e di autenticità, quello che ci è stato “trasferito in dono” (3) dal passato.
Ma sappiamo – e ce lo ricorda ancora Amedeo Bellini – che anche la conservazione non è un assoluto.
Infatti, il soddisfacimento dei bisogni attraverso l’uso (compatibile), presuppone l’evoluzione degli edifici in sintonia con l’evoluzione delle Società. Le esigenze dell’utenza sono in continua ineluttabile trasformazione e quindi gli edifici, per dare risposte positive alle esigenze, devono necessariamente essere in grado di modificarsi, configurando il progetto sul costruito storico come un processo di governo della trasformazione a partire dalla “lettura” e dalla “pesatura” dai valori in essi diversamente rappresentati (culturali, economici, d’uso).

Il ruolo del Restauratore di BB.CC. come definito dalla normativa
La normativa definisce come segue il ruolo e le competenze del Restauratore di BB.CC.:
“Gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni Architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia” (4).
“Il Restauratore di beni culturali mobili e di superfici decorate di beni Architettonici, sottoposti alle disposizioni di tutela del Codice, è il professionista che definisce lo stato di conservazione e mette in atto un complesso di azioni dirette e indirette per limitare i processi di degrado dei materiali costitutivi dei beni e assicurarne la conservazione, salvaguardandone il valore culturale. A tal fine, nel quadro di una programmazione coerente e coordinata della conservazione, il Restauratore analizza i dati relativi ai materiali costitutivi, alla tecnica di esecuzione ed allo stato di conservazione dei beni e li interpreta; progetta e dirige, per la parte di competenza, gli interventi; esegue direttamente i trattamenti conservativi e di restauro; dirige e coordina gli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro. Svolge attività di ricerca, sperimentazione e didattica nel campo della conservazione.” (5)
Quindi, sintetizzando, il Restauratore di BB.CC. è il professionista che:
- definisce lo stato di conservazione del Bene, si adopera per limitare i processi di degrado e salvaguardarne il valore culturale;
- analizza e “interpreta” i materiali e le tecniche di esecuzione;
- progetta e dirige gli interventi (per quanto di competenza);
- svolge attività di ricerca, sperimentazione e didattica.
Se poi si entra nel merito dell’allegato A del citato DM 86/2009, dove sono specificate in dettaglio le attività caratterizzanti il profilo di competenza, oltre a quanto sommariamente definito in precedenza, si evince che il Restauratore di BB.CC.:
- redige la scheda tecnica ex art. DM 154/2017;
- formula il progetto preliminare, definitivo ed esecutivo sul bene e sul contesto;
- redige il piano di manutenzione e il piano di conservazione programmata;
- in fase di intervento definisce materiali, metodologie e tipologie di operatori; assume la direzione tecnica e la direzione operativa nell’ambito dell’ufficio di direzione lavori, effettua collaudi tecnici, esegue il monitoraggio degli interventi svolti, partecipa alle ispezioni previste nei piani di conservazione programmata.
Tutto ciò in collaborazione con le professionalità dello storico dell’arte, dell’archeologo, dell’Architetto, dell’archivista, del bibliotecario, dell’etnoantropologo, del paleontologo, del fisico, del chimico, del geologo, del biologo.
È evidente una significativa sovrapposizione di competenze con l’Architetto, per quanto limitate alle attività di conservazione delle superfici decorate e/o “storicizzate”.

Il ruolo dell’Architetto
In ordine al tema delle competenze – diatriba sorta principalmente tra ingegneri e architetti – si evidenzia che l’art. 52 del RD 2537/25 stabilisce che le opere di edilizia civile, che presentano rilevante carattere artistico, nonché il restauro ed il ripristino di edifici vincolati, siano di spettanza della professione di Architetto.
Anche in numerose sentenze di merito viene confermata la competenza esclusiva dell’Architetto nella progettazione di interventi su edifici vincolati e in generale su beni culturali e di interesse storico artistico.
Non c’è dubbio alcuno che il restauro moderno si eserciti sempre più in un ambito pluridisciplinare. Ma se la multidisciplinarietà è di per sé stessa una conquista importante nel campo della conservazione e del restauro, non sempre a questa nuova condizione corrisponde una reale condivisione sul campo delle giuste competenze che accompagnano l’esercizio complesso del restaurare. In ogni caso, resta ancora come principale prerogativa dell’Architetto quella della redazione del progetto Architettonico, della conoscenza della storia del manufatto e del territorio.
Si ritiene, in particolare, che nell’ambito del progetto di riuso e riqualificazione dell’architettura storica, il ruolo dell’Architetto sia ancora fondamentale soprattutto nell’ambito della diagnosi, intesa non solo, o solo marginalmente, come lettura delle condizioni di degrado fisico, ma, soprattutto, nella lettura delle “prestazioni in essere”, cioè delle utilità che l’edificio ancora rappresenta, oggi, rispetto alle nuove esigenze d’uso, nel difficile compito di decidere cosa conservare e cosa trasformare, cioè, appunto, nelle modalità di gestire correttamente l’inevitabile cambiamento.
Come si conciliano le competenze?
Posto che il progetto di restauro, come ogni progetto di architettura, presuppone apporti multidisciplinari, e, quindi, il Restauratore è ovviamente parte attiva – se non altro perché il ruolo è definito per legge – si possono proporre queste considerazioni:
- sul tema della conservazione della materia
il Restauratore, come da normativa, definisce le tecniche, lo stato di conservazione, analizza i materiali, progetta e dirige gli interventi.
Ma la tecnica non è neutra: è figlia dell’obiettivo che si vuole raggiungere, richiede un atto critico che non può risolversi nella massimizzazione della conservazione perché “non è possibile conservare tutto, comunque tutto si trasforma; alcuni oggetti svolgono la loro funzione consumandosi; in certi casi non è tecnicamente possibile conservare, in altri casi la permanenza contraddice necessità reali. Dunque, la tendenza a una conservazione integrale dei documenti ha limiti tecnici ed etici, questi di natura collettiva e quindi politici” (6).
- sulla competenza del Restauratore in ordine alle superfici decorate
la superficie, come definita da Ruskin, l’ultimo mezzo pollice di materia (7) – quella che trasferisce l’immagine consolidata, che registra il cambiamento (cioè porta su di se i segni del passaggio del tempo), che si degrada più rapidamente perché a diretto contatto con l’atmosfera e soggetta alle azioni antropiche – non può essere separata dal supporto, è parte integrante dell’apparecchio murario e come tale va considerata. Inoltre, nell’ambito delle attività di restauro e di conservazione della materia, c’è il tema dell’integrazione della “lacuna”. Anche questo richiede un atto critico – più propriamente attinente alle logiche del “progetto del nuovo” – che non può essere delegato al solo Restauratore.
Quindi, assunti gli aspetti normativi come dati di fatto – e considerato che la questione non è mai stata regolamentata – pare che la definizione delle competenze nel rapporto tra Restauratore e Architetto debba trovare soluzione nell’ambito di una collaborazione/confronto che appare ovvia quanto banale nella sua affermazione.
Se la cosa fosse semplice non sarebbe emerso il problema che, invece, è evidenziato a mezza voce quanto meno dagli Architetti che hanno sviluppato competenze specifiche in questo ambito professionale. Infatti, a volte il Restauratore rivendica titolarità assolute, mentre l’Architetto mal sopporta quelle che ritiene invasioni di campo.
Per contro a volte il Restauratore compie “supplenze” e l’Architetto “delega” volentieri.
C’è da chiedersi, dunque, se nell’ambito della quotidianità si registri una vera conflittualità di competenze o se, invece, le domande che qui si pongono sono in effetti più di carattere disciplinare che pratico.
Rimane comunque ineludibile il tema della formazione. Oggi quella del Restauratore prevede percorsi di tipo accademico ma deve essere riconosciuto anche il ruolo del “cantiere” e della “bottega” come luoghi di formazione sul campo, per affiancamento, come da sempre è avvenuto nella storia.
In conclusione
Le considerazioni qui avanzate – per quanto parziali e provvisorie – necessitano certo di riflessioni e confronti tra vari attori e occasioni per ulteriori affinamenti.
Si pongono comunque alcune questioni più specifiche e certo marginali, ma di carattere pratico, che potrebbero contribuire a circoscrivere i compiti all’interno dell’unico progetto di restauro, per esempio quali dovrebbero essere i contenuti degli elaborati di progetto prodotti dal Restauratore in rapporto a quelli in genere prodotti dall’Architetto oppure in merito a come definire i relativi compensi professionali.

Note:
(1) B.P Torsello, Che cos’è il restauro, Marsilio, 2005, p. 9
(2) A. Bellini, in: B.P. Torsello, Che cos’è il restauro, Marsilio, 2005, p. 24.
(3) “… Dio ci ha prestato la terra per la nostra vita; ce l’ha data in consegna ma essa non ci appartiene. Essa appartiene allo stesso modo a quelli che devono venire dopo di noi i cui nomi sono già scritti nel libro della creazione …”J. Ruskin, Le sette lampade dell’Architettura, Jaka Book, Milano, 1981, p. 218
(4) Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs 42/2004), art. 29, comma 6.
(5) DM 86/2009, art. 1, comma 1,
(6) A. Bellini, op.cit., p. 23
(7) Ruskin